Gianni Piacentino

March 22 - April 23, 2023

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
TRANS-CHROME VIOLET SMALL POLE (Model ‘66), 2017
Chrome paint on acrylic enamel on wood
145 x 10 x 10 cm

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
TRANS-CHROME BEIGE-GRAY SHORED-UP DO- ORWAY (Model ‘67), 2023
Chrome paint on acrylic enamel (2K) on wood
200 x 100 x 60 cm (3 parts section: 10 x 10 cm)

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
NEW TECH METAL BIVEST+1 (Model ‘65)_1 , 2022-23
2K acrylic, water-base and 2k clear matt acrylic on steel
215 x 110 cm (assembled in 3 parts)

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
NEW TECH METAL BIVEST+1 (Model ’65)_3, 2022-23
2K acrylic, water-base and 2k clear matt acrylic on steel
215 x 110 cm (assembled in 3 parts)

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
Gianni Piacentino, 2023
Installation view, Galleria Federico Vavassori

Gianni Piacentino
TRANS-CHROME GRAY-BLUE LOOKING-GLASS OBJECT (Model ‘67), 2019
Chrome paint on acrylic enamel (2K) on wood
178 x 115 x 175 cm (assembled in 3 parts, section 8 x 8 cm)

Gianni Piacentino
TRANS-CHROME GRAY-BLUE LOOKING-GLASS OBJECT (Model ‘67), 2019
Chrome paint on acrylic enamel (2K) on wood
178 x 115 x 175 cm (assembled in 3 parts, section 8 x 8 cm)

Gianni Piacentino
NEW TECH METAL BIVEST+1 (Model ’65)_2, 2022- 23
2K acrylic, water-base and 2k clear matt acrylic on steel
215 x 110 cm (assembled in 3 parts)

GIANNI PIACENTINO

MARCH 22 - APRIL 23, 2023

LA PERCEZIONE DEL SOSPETTO

L’arte del concreto sembra affidarsi sempre più alle sub-strutture psicologiche che la concretezza del reale continuamente sottende. E’ evidente ormai, nell’attuale ricerca oggettuale, uno spostarsi di accento dalla forma al processo di formatività - processo che è di per sé azione, movimento e manifestazione di volontà. Cioè, fare, voler fare, invece semplicemente di essere. E tale constatazione avviene proprio al termine dell’ondata delle cosiddette strutture primarie, mentre da noi la pigrizia, per non dire peggio, di alcuni critici trova che adesso tutto è primario, come se i concetti preordinassero le cose, e non viceversa. Ora Bob Morris teorizza invece un oggetto anti-forma; dall’America vengono Ie prime immagini del post-minimal, mentre in Europa è da tempo avviata quella che si può definire una strutturazione, attraverso, è vero, procedimenti diversissimi, dell’evento o comunque del vissuto.
La nozione di “primario” è la concettualizzazione in arte del diffuso “primitivismo freddo” in atto nella vita, soprattutto dei giovani, e Ie opere “primarie”, sollecitando tanto nozionismo scientifico a loro sostegno, hanno confermato di essere pure entità concettuali.
Ora, ciò che distingue il nuovo corso, soprattutto in Italia, è piuttosto il rifiuto di materializzare un concetto o un’idea. Per gli artisti, adesso, Piacentino compreso, la forma e il colore, i materiali e Ie tecniche, appartengono alla sfera dell’ordine psichico, conscio o inconscio, e sono gli elementi cristallini di una mitologia personale nel contesto di un sistema mitologico piu generale e riconosciuto come tale. Esistere prima di essere, come il cogito precede fondandolo il sum: così, i lavori di Piacentino tendono a individuare e a definire prima di ogni altra cosa se stessi, nella loro autonomia plastica e spaziale. Dimensione, colore, posizione: questi gli elementi su cui Gianni Piacentino lavora. Dal proto-pop di Oldenburg all’astrazione post-pittorica di Noland e allo strutturalismo oggettuale di Morris, Judd, Flavin, la dimensione ha assunto valore d’espressione, come scala tecnologica, come gigantismo e monumentalità, salvo laddove ha dato luogo al semplice terrorismo del “sempre più grande”. Per il giovane artista torinese occuparsi delle dimensioni ha significato fondare i dati spaziali dei suoi elementari “mobili”, Ie loro coordinate: lungo e alto, orizzontale e verticale, ecc. Da qui, la più recente preoccupazione di definire anche il posto che essi occupano: con la loro posizione, che carica queste strutture di una tensione unidimensionale ora verticale e ora orizzontale. Piacentino ha implicitamente definito I’idea di spazio in senso di luogo, come parete, pavimento, finestra o altro, oltre la nozione di “environment” che non lo ha mai interessato. Similmente, nelle loro ultime mostre, il teatro di Pistoletto, la giungla di Pascali, il tempio di Ceroli, il torrente di Boetti, il prato di Calzolari, i giardini di Kounellis, indicano altrettanti spazi caratterizzati, un luogo come spazio fondato. È I’assunzione di un segno in più nel vasto “bricolage” dell’arte. Per Piacentino il colore vuol dire percezione di un elemento altrettanto autonomo, fisico, concreto, quanto Ie dimensioni e Ie forme.
Nessun significato metafisico o simbolico, nessun colore privilegiato: egli tiene a sottolineare I’uso del colore come qualità della materia, la sua scelta in rapporto alla posizione e alla dimensione dell’oggetto, per cui ad una maggiore elaborazione formale corrisponde una minore cromaticità, o viceversa, e ad una data esposizione di una superficie, con la luce e i suoi riflessi, s’accompagna un certo colore fanno parte di un preciso atteggiamento mentale.
Morris, ribadendo che la scultura si basa su decisioni essenzialmente fisiche, si nega I’uso del colore perché questo sottolinea I’aspetto ottico a scapito di quello fisico, dello stesso peso; Piacentino accentua e sistematizza questo uso in funzione anti-idealista e anti-purista, e sottolinea I’aspetto ottico-cromatico della sua opera (dove I’obece è un mero supporto della superficie, e la superficie levigata, stuccata e seppiata è un neutro supporto di colori) proprio come contraltare fisico all’ambiguità tra oggetto astratto e oggetto concreto, immagine mentale e immagine reale, che questi “mobili” mantengono in tensione.
Piacentino dà luogo a un continuo sospetto, costruisce pali, tavoli, infissi, specchiere e altre strutture tipo “design” che non sono tali, perché prive dei caratteri di utilitarismo e funzionalità, non solo, ma soprattutto perchè tendono a negare il loro status di oggetto. È una scultura o un tavolo? Tra Ie opere dei giovani di Torino, questa è la piu controversa e suscita Ie reazioni piu radicali: la gente vuole o una scultura o una tavola che serva da tavolo. E il senso istituzionale dell’oggetto e delle sue categorie. Ma se una scultura di Brancusi o una struttura di Morris si presentano con quel quoziente di esteticità che Ie rendono un oggetto istituzionalizzato al pari di un prodotto di “design” firmato da Breuer o Zanuso, Ie sculture di Piacentino scardinano la divisione, con il sospetto della loro immagine e funzione ambigua rimandano dall’arte all’estetica industriale e viceversa. C’è sempre stato uno spazio tra I’utilitarismo di Tallin, con Ie sue preoccupazioni sociali, e il purismo di Malevitch, che detestava il “design”. Mi pare, e non saprei spiegarmi altrimenti la lucida tensione manifestata da questa ricerca, che Piacentino occupi questo spazio e pressoché da solo. Si può forse accostarlo a Flavin.
Ora Ie due costanti del lavoro di Piacentino, la ricerca propriamente formale e il ricorso al processo artigianale-tecnico che sfocia nel “mobile”, sono più che mai integrate e interdipendenti. Le forme seguono un interno sviluppo sul principio della variazione: ecco che il palo diventa un corpo geometrico che situa lo spazio interno tra pavimento e soffitto, il tavolo si muta in architrave e la porta in una struttura meno analogica.
Al cerchio subentra l’ovale come forma più vissuta, all’angolo retto o alla curva l’angolo smussato, e così via con l’ellisse e la strombatura degli spessori: il processo d’individuazione dell’oggetto secondo una sua presenza più concreta e meno mentale continua. Le previsioni di Etienne Souriau, che fin dal ‘51 contrapponeva all’attuale classicismo e funzionalismo dell’estetica industriale un futuro “barocco industriale di cui forse si vedrà I’avvenimento nel 2000”, sembrano stranamente trovare un’anticipata conferma nell’opera di questo giovane artista di 23 anni.

Tommaso Trini, 1968